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Il perdono, nozione tra le più elevate del patrimonio etico dell'umanità, è diventato oggi merce di scambio di basso conio: i grandi della terra lo invocano quando non ci sono più vittime in grado di rispondere; il piccolo schermo inscena la farsa delle improvvise e plateali riconciliazioni: all'indomani di un omicidio, la prima domanda del giornalista ai parenti della vittima è "vi sarà perdono?". Il perdono è di moda. L'uomo ha sempre avuto bisogno di superare le disarmonie e i conflitti tragici del passato anche attraverso atti di clemenza. Lo ha fatto in particolare ricorrendo alla grazia, alle strategie di oblio dettate dal tempo o da cerimonie pubbliche di amnesia. Nei paesi trafitti dai governi dittatoriali e dalle lacerazioni della guerra civile riscopre il concetto di riconciliazione e lo adatta a percorsi di restaurazione delle democrazie. Ma il perdono è innanzitutto concetto cristiano che richiede una rilettura attraverso le pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento. Questa ricerca teologica permette di riaffermare il perdono come parola che propone un'immagine della forza che rifiuta la violenza. La fede cristiana riconosce al perdono la sua originaria gratuità, la sola capace di proiettare nel futuro una relazione nuova rispetto all'offesa che l'ha deturpata.